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I’m dreaming of a White Christmas

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Stalingrado e il suo inferno di neve e di ghiaccio, El Alamein col suo straziante tributo di sangue e d’eroismo, Guadalcanal e lo sbarco dei marines, il Ghetto di Varsavia e la barbara deportazione degli ebrei verso l’orrore senza nome dei campi di sterminio.

E’ appena iniziato l’anno di guerra 1942 con il culmine delle atrocità in Europa e nel Pacifico e pochissime speranze di riscatto, e un compositore poco più che cinquantenne, figlio di poveri immigrati russi, Izrail Moiseevic Bejlin, autore di musical e celebri ballate patriottiche come God Bless America, decide di dare alle stampe la sua ultima creazione, una composizione sognante e nostalgica che invoca e rievoca, con lirico abbandono, l’illusione d’un Natale di pace e candore, candore di neve e insieme d’innocenza.

… Un bianco Natale proprio come quelli che ho vissuto, dove le cime degli alberi scintillano, e i bambini stanno in attesa d’ascoltare, i campanelli della slitta nella neve…”.

Semplice, melodica, immediata, col piglio da nenia infantile d’ogni autentica ballata, White Christmas offrirà a quel Natale di guerra del 1942 un duraturo bagliore di speranza, ed al suo autore Irving Berlin, come aveva scelto di chiamarsi Izrail sin dal 1907, un successo pressoché eterno, divenendo, a tutti gli effetti, la colonna sonora per antonomasia delle festività sotto l’albero dal dopoguerra ad oggi.

Ancora una volta, per una singolare alchimia tutta americana, i migliori interpreti del più genuino spirito statunitense sono proprio i figli d’immigrati e i naturalizzati d’ultima generazione, che sembrano incarnare e diffondere, con l’entusiasmo dei neofiti, i fondamenti più caratteristici dell’American Way of Life, e sarà proprio un oriundo palermitano: Francesco Rosario Capra, per tutti Frank Capra, a confezionare nel 1946 il più perfetto meccanismo scenico ad orologeria di commozione natalizia, quel La Vita è una Cosa Meravigliosa che è l’autentico corrispettivo filmico di White Christmas, e che continua ad esser, senza cedimenti, il classico imprescindibile della festività religiosa più amata.

Esplicitamente ispirato al  magnifico racconto A Christmas Carol di Charles Dickens, del 1843, nel quale l’avaro e cinico protagonista è obbligato a riflettere sul significato della propria esistenza e su quella di tutti coloro che sono fatalmente legati alla sua, fino al pentimento ed al riscatto finale, il film di Capra riesce nell’impossibile alchimia di ricreare per l’America dell’immediato dopoguerra il miracolo d’una nuova innocenza in nome del Natale, riconciliando, nel segno della festa religiosa per antonomasia, un mondo fino ad allora insanguinato e diviso senza speranza.

 

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